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cgil CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

I DATI DEL TRIBUNALE DI BRESCIA. TRA I MOTIVI L'OBBLIGO DI PAGARE TUTTE LE SPESE IN CASO DI SCONFITTA

Cause di lavoro in calo


17 maggio 2016 - * Retribuzioni non versate, licenziamenti, demansionamenti, infortuni non riconosciuti, controversie per la previdenza, riconoscimento di un aumento dei contributi versati per essere stato esposto a polvere di amianto...

Sono solo alcuni dei motivi che spingono un lavoratore a ricorrere al giudice nella speranza di ottenere giustizia, oltre che il risarcimento di un eventuale danno subito durante l’attività lavorativa. Ma nell’ultimo periodo sono sempre meno i lavoratori che attraversano l’ingresso del tribunale e affidano le proprie controversie lavorative a un giudice. Sempre più spesso il lavoratore si trova costretto a subire, ma per una serie di rischi connessi alle nuove disposizioni di legge, preferisce non fare causa.

In effetti le cause di lavoro affidate ai tre giudici e alla presidente della sezione del tribunale di Brescia sono leggermente calate. È sufficiente scorrere i dati della sezione lavoro per vedere che sono decine i lavoratori che nel corso dell’ultimo periodo hanno rinunciato a cercare giustizia. Tra il 2014 e il 2015, in effetti, le cause sopraggiunte in tribunale sono diminuite di duecento unità: erano 2.646 nel 2014 e sono scese a 2.432 nel 2015 (di cui 1.902 per cause normali e 530 per procedimenti speciali, condotte antisindacali e rito Fornero). E anche nell’anno in corso la tendenza sembra confermata: dal primo gennaio a oggi le cause sono 967.

Più di duecento cause in meno da un anno all’altro, duecento pratiche «inesistenti» che contribuiranno ad alleggerire il compito difficile per il poco personale impegnato nella sezione, sia per la carenza cronica di magistrati che di personale amministrativo.

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In un anno, dal 2014 al 2015, il contenzioso legale all’ufficio vertenze della Camera del Lavoro di Brescia si è ridotto del 29 per cento. Un dato che all’apparenza potrebbe sembrare anomalo in anni di crisi, nei quali sono aumentai i mancati pagamenti di arretrati, licenziamenti, mancati riconoscimenti di carriera, demansionamenti o altro ancora. Eppure il calo c’è stato, di quasi un terzo, e a confermarlo è la stessa Tiziana Zaltieri, la responsabile dell’Ufficio vertenze Cgil di Brescia. I motivi sono diversi, ma sicuramente, questa è la lettura che viene fatta dal sindacato, le modifiche legislative che sono state fatte negli ultimi due anni hanno inciso parecchio.

Tra queste una norma introdotta a fine 2014 che rende obbligatorio per il giudice condannare chi perde la causa a pagare le spese legali. Non solo del proprio avvocato, ma anche quelle della controparte. Nulla di male, si dirà, se non per il fatto che fino al 2014 il lavoratore era sempre stato considerato «parte debole» nel contenzioso e quindi titolare, sotto questo punto di vista, di una tutela minima aggiuntiva. La norma ha cambiato la regola e quindi chi perde paga per tutti.

«In pratica - afferma Tiziana Zaltieri -, mentre prima c’era la tendenza a compensare, ognuno pagava per sé, adesso si pagano tutte le spese. Per cui, se il lavoratore perde, tocca pagare anche quelle dell’azienda». Il che significa che il conto in spese legali può superare facilmente i duemila euro. Inutile dire che, dal momento che tutte le cause hanno esito incerto, in molti casi il lavoratore preferisce non affrontare nemmeno la causa. Collegato a questo, secondo il sindacato, vi è anche l’introduzione del contributo unificato, in pratica una sorta di marca da bollo da pagare, il cui costo varia a seconda della domanda e dal quale sono esentati solo coloro che hanno redditi familiari complessivi più che modesti. «Basta avere un reddito da operaio e un part time in caso per non avere diritto ad alcuna esenzione - spiega Tiziana Zaltieri -. E per il contenzioso generico, quando è indeterminabile l’ammontare, si paga un contributo da 259 euro».

Non pochi, soprattutto in tempi di redditi familiari decrescenti. A questo si aggiunge una normativa complessiva (il Jobs Act) che ha ridotto all’origine la possibilità di ricorso. In pratica, secondo Tiziana Zaltieri, a fare ricorso sono rimasti i lavoratori che vantano mesi di arretrati di stipendio non pagati e che hanno quindi buone possibilità di vincere la causa. Anche in questo caso, ci sono però complicazioni, in questo caso con la dichiarazione dei redditi e l’Agenzia delle Entrate. «L’azienda che fa il Cud da 30 mila euro e invece te ne paga solo la metà ovviamente crea complicazioni in sede di dichiarazione», osserva Zaltieri. Per Wilma Prandelli, ufficio vertenze Fiom, oltre a tutto questo c’è anche un aspetto «culturale» che non deve essere sottovalutato: «Il 90% delle vertenze sono mancati pagamenti, quando cioè ci sono di mezzo i soldi. Per diritti negati, demansionamento, condizioni di lavoro c’è una crescente paura di perdere il posto di lavoro». E, alla fine, il ricorso non lo si fa.

* dal Corriere Brescia di martedì 17 maggio 2016

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