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fisac CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

Più salari, meno disuguaglianze

Il 20 settembre alla Camera del Lavoro di Milano è stato presentato il “Rapporto sui salari “ che ancora una volta ha messo in evidenza una vera e propria questione salariale in Italia causata da una crescita molto forte delle diseguaglianze.


Il nostro paese è attraversato da una questione salariale allo stato latente. Almeno per ora, perché se guardiamo i numeri – che, come dice qualcuno, se torturati possono dire qualsiasi cosa – e proviamo a fare ragionamenti in pro­spettiva, sui giovani soprattutto, la  questione  potrebbe   anche esplodere. 

Le disuguaglianze sa­lariali riguardano infatti soprat­tutto la fascia tra i 15 e i 34 anni che guadagna mediamente il 21% in meno rispetto alla media: è questo l’altro lato della medaglia di chi ha la fortuna di avere quel­l’età. 

Il rapporto “+ Salari – Disuguaglianze”, realizzato dalla Fisac CGIL e ISRF Lab, curato da Agostino Megale e Nicola Cicala, calcola, che nel decennio 2007-2017, un giovane under 35 ha guadagnato oltre 4 mila euro in meno all’anno, rispetto al salario medio. Ha quindi avuto complessivamente minori entrate per 40 mila euro. I giovani sono tra i più penalizzati, ma non sono i soli a vedere il se­gno meno rispetto alla media sul loro salario. I lavoratori del sud rispetto a quelli del nord guadagnano il 14% in meno, le donne rispetto agli uomini il 20%, i precari il 23%, gli stranieri Ue il 18% mentre quelli extra Ue il 23%.

Nel decennio 2007-2017 l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto più del 16%, le retribuzioni lorde contrattuali del 18%, le re­tribuzioni nette di fatto del 9,5%. I contratti quindi hanno difeso i salari dall’inflazione, ma metà di quanto è stato conquistato con i rinnovi è stato assorbito dalle tasse. 

“È come se i salari vivessero tra due gabbie – osserva il Segretario Nazionale della Fisac CGIL, Giuliano Calcagni – ossia il cuneo fiscale e la mancata redi­stribuzione delle produttività”. Da settore a settore qualche differenza c’è. 

Il commercio è passato da una retribuzione media an­nua di 24.772 del 2007 a una di 25.914 del 2017, la metallurgia da 25.818 a 28.611, i chimici da ol­tre 25 mila a 30 mila, le assicurazioni da 32.463 a 31.457, il credito da 39.285 a 39.004.

Nel settore del credito, ha ri­cordato Agostino Megale (Segre­tario Generale della Fisac CGIL), i ban­cari e le bancarie hanno fatto la loro parte nel lungo periodo della crisi e “sono tra coloro che hanno recuperato di meno. In compen­so ci sono state migliaia di uscite attraverso il fondo di solidarietà”, l’ammortizzatore del credito che ha contribuito ad annullare l’effetto macelleria sociale. Ades­so, però, alla vigilia del rinnovo contrattuale, proprio quando i sindacati sono alle prese con la piattaforma rivendicativa (il 19 ottobre ci sarà un primo incontro dei segretari generali) Megale di­ce che “la produttività di un si­stema che nell’ultimo anno ha distribuito 14 miliardi di divi­dendi va aggiunta al recupero dell’inflazione”.

Il presidente del Casl, Salvato­re Poloni (Condirettore Generale Banco Bpm) ascolta con atten­zione le rivendicazioni sindacali ma invita tutti a guardare il cambiamento in corso e quello che ci aspetta. Certamente “innanzi­ tutto c’è un tema contratto – dice Poloni -: nel nostro settore il contratto collettivo nazionale ha un ruolo importante, anche se non esclusivo. Guardandoci indietro è stato proprio il contratto nazionale che ci ha consentito di gestire momenti di crisi profon­da. Guardando al futuro il contratto dovrà supportare il cambiamento in corso e quello che ci aspetterà nei prossimi anni». Il contesto è complesso e in questa complessità Poloni ricorda che per le aziende “c’è un altro tema molto importante che è quello della sostenibilità. Nel nostro pa­ese ci sono istituti la cui storia è iniziata 100, 150 anni fa e ci auguriamo che abbiano una storia altrettanto lunga di fronte”. Quindi la questione  salariale “sarà un tema, ci confronteremo certamente anche sui salari, ma non si può ridurre il confronto alla dinamica salariale. La sfida del rinnovo contrattuale va vista in modo molto più rotondo”, di­ce Poloni.

I dieci anni della crisi si sono lasciati alle spalle molta terra bruciata e sono stati contrasse­gnati da una perdita del potere di acquisto dei lavoratori dipenden­ti, che nel nostro paese sono gravati da una tassazione molto elevata. 

Guardando in prospettiva, le leve su cui insistere, per Agostino Megale sono 3: “Produrre ric­chezza, redistribuirla e infine ri­durre la tassazione sul lavoro e sulle pensioni. Per questo servi­rebbe aprire un tavolo con il Go­verno perché deve fare riflettere il fatto che in Italia il costo medio per addetto per l’impresa è 46 mila euro e il 47,7% è assorbito dalle tasse”.

 

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Articolo Sole24Ore

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