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Aldo Rebecchi, saggio tutore dello spirito critico

Un contributo di Marino Ruzzanenti in ricordo di Aldo Rebecchi 


Leggendo e ascoltando le tante parole scritte e dette, belle e autentiche, per ricordare Aldo Rebecchi mi sono chiesto come sia stato possibile per me riconoscere in lui per quasi mezzo secolo "l'amico di una vita, un compagno di antiche lotte, una presenza costante e paziente". La questione, in verità, potrebbe apparire mal posta: Aldo, il grande mediatore e tessitore di relazioni, l'amico di tutti, perché non doveva essere anche mio amico? Già, ma io, come sanno quei pochi che mi frequentano, sono tutt'altro che amico di tutti, sono un bastian contrario, un polemico inguaribile. A ben vedere io e Aldo, anche nei momenti di più stretta collaborazione nel sindacato, rappresentavamo due poli per certi versi opposti: lui pacato e moderato; io fumantino ed estremista; lui bresciano Doc, io orgogliosamente non bresciano; lui, d'origine operaia, che attingeva saggezza dagli incontri personali, io, già insegnante, che cercavo di capire il mondo studiando sui libri. E poi le nostre strade e le nostre frequentazioni molto diverse nei decenni successivi hanno esaltato quelle distanze, fino a ritrovarci di nuovo, fianco a fianco, nella Fondazione Luigi Micheletti, lui da Presidente, io da ricercatore in collaborazione, per me fortunata, con Pier Paolo Poggio.

Dunque perché ha retto per tutto questo tempo la nostra grande amicizia, fondata su una profonda fiducia e stima reciproca?Credo che la spiegazione vada ricercata in una caratteristica di Aldo che non mi pare sia emersa con il dovuto risalto, che io ritengo tanto rara quanto preziosa e che si è manifestata nitida nei due momenti, già evocati, di più diretta cooperazione tra noi due. Due momenti in cui Brescia è fuoriuscita dal proprio provincialismo, spesso esaltato con compiacimento come virtù, e non grazie ai noti exploit della propria economia (le armi, il tondino, la meccanica fine, il Franciacorta…) o a causa del tragico unicum di un neofascismo stragista che colpì direttamente al cuore una manifestazione democratica.
In ambedue i casi, come vedremo, si può, invece, parlare di una Brescia "anomala", alternativa e dissonante rispetto alla narrazione che le istituzioni ed il sistema vogliono accreditare.

PROSEGUE SUL SITO FONDAZIONE MICHELETTI .

 

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