via Fratelli Folonari, 20 - Brescia Centralino 030.37291
cgil CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

Se il lavoro si fa smart, ma anche no

Cosa ci aspetta c'è dopo l'emergenza? Se non si interviene al più presto, il divario digitale che affligge il nostro Paese condizionerà in modo pesante qualsiasi tentativo di ripresa. Perché oggi Internet è per molti, ma non per tutti


Stiamo vivendo un periodo di emergenza nel quale tanti elementi costitutivi della rivoluzione digitale hanno disvelato in pochi giorni – talvolta in poche ore – il loro potenziale ancora sopito. I sistemi di videoconferenza usati dalle grandi aziende sono entrati nelle case di quasi ogni italiano. Tutto sembra essersi spostato online, musei, conferenze, presentazioni di libri, spettacoli per bambini. Anche la televisione. L’accelerazione tecnologica di questi mesi si è resa necessaria, indispensabile, almeno per due motivi: nella Fase 1, in piena pandemia, per consentire un lockdown totale e bloccare la diffusione del contagio da covid-19; nella Fase 2 per rendere funzionale il suo contenimento. La corsa alla digitalizzazione, nella sua folle traiettoria ha spesso preso strade inaspettate e oggi risulta più chiaro quello che scriveva, qualche anno fa, il sociologo dei media Gert Lovink: “Una volta era Internet a cambiare il mondo. Oggi è il mondo a cambiare Internet”. L’esigenza di continuare a comunicare, socializzare, produrre e studiare “al tempo del coronavirus” ha prepotentemente riadattato e trasformato strumenti pensati per altro. Soprattutto nel mondo del lavoro.

L'EVENTO / In diretta su Collettiva lunedì 18 maggio alle 12.30 Landini e Camusso presentano la prima indagine sul lavoro agile promossa dalla Cgil

È fuor di dubbio che la tecnologia nelle ultime settimane sia entrata di forza anche nelle aziende meno avvezze alla trasformazione digitale; il fatto stesso che il recepimento dell’ordine di un cliente, la registrazione di una fattura o lo svolgimento di un colloquio siano attività svolte ora in modalità totalmente diverse rispetto a meno di due mesi addietro è indice, seppur con delle imposizioni governative, di un nuovo modo di pensare al lavoro. Lo smart working, versione anglofona del lavoro agile, ha interessato, letteralmente dal giorno alla notte, milioni di persone impiegate nel pubblico impiego e nel terziario. 

Per mettere a fuoco la mutua trasformazione che abbiamo vissuto e, soprattutto, per avere qualche idea sul futuro che ci aspetta, facciamo un passo indietro e partiamo da qualche dato certo. Il significato di smart working, in italiano è, letteralmente, “lavoro intelligente”. Introdotto dal Jobs Act (L. n. 81/2017) come “lavoro agile”, la definizione di smart working non può prescindere da alcune caratteristiche che lo differenziano da altre modalità di esecuzione dell’attività lavorativa “a distanza” (dal telelavoro, ad esempio). Anzitutto il suo obiettivo dichiarato, ovvero quello di “incrementare la competitività” agevolando al contempo “la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. E poi la sua cifra distintiva: quella di rendere una prestazione lavorativa in un arco temporale definito (orario di lavoro giornaliero) senza vincoli né di tempo, né di luogo. L’introduzione del lavoro agile nelle Pmi e nella Pa, secondo i risultati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, ha registrato negli ultimi anni un percorso progressivo e lineare di crescita, con progetti strutturati nel 18% delle piccole e medie imprese e nel 16% delle pubbliche amministrazioni. Questo lo scenario pre-pandemia. Poi la corsa, a fari spenti, per evitare il blocco totale delle attività: in alcune regioni, nel pubblico impiego, sembra si sia arrivati a punte del 98% di lavoratori impiegati in modalità agile.

Approfondimenti