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Tutti in rete contro violenza e razzismo

Iniziativa per promuovere con lo sport la convivenza multietnica: «Veicolo importante per l'integrazione». Al centro sportivo San Filippo si sono sfidate le rappresentative della Polizia di Stato, del Palagiustizia, degli Amici delle Forze dell'Ordine e della Cgil


Quattro squadre un unico obiettivo: vincere senza distinzioni di razza o religione. Un messaggio semplice e diretto contro il razzismo. Messaggio ribadito anche domenica al centro sportivo San Filippo di via Bazoli, con il torneo quadrangolare «In rete contro violenza e razzismo», che ha visto sfidarsi quattro squadre rappresentative della Polizia di Stato, del Palagiustizia, degli Amici delle Forze dell'Ordine e della Cgil (con anche la partecipazione della Federazione delle associazioni bresciane per l'immigrazione). Il torneo si è svolto in un clima festoso: l'agonismo non era certo l'obiettivo primario. L'iniziativa ha infatti voluto promuovere, attraverso lo sport, la convivenza multietnica e dare testimonianza contro la violenza ed il razzismo. 

A spuntarla sono stati i calciatori della Cgil, seconda la squadra della polizia di stato. Medaglia di bronzo e di legno rispettivamente per la squadra del Palagiustizia e per quella degli Amici delle Forze dell'Ordine. «Lo sport nell'antichità era collegato al superamento dei propri limiti, alla cura del corpo, alla bellezza. Lo sport era quasi una filosofia, un mezzo per elevare l'animo umano. Il triste legame tra sport e razzismo ha invece le sue basi solo nel XIX secolo, in particolare a causa del colonialismo: ovvero il diritto e il dovere di civilizzare le popolazioni "primitive" in nome della superiorità razziale dei bianchi, fu applicato anche attraverso lo sport. Lo sport è competizione leale e giocosa che stimola il miglioramento personale o il miglioramento di intesa con la propria squadra. Rivalsa, superiorità e violenza non dovrebbero far parte di tutto questo. Lo sport non dovrebbe considerare razza e sesso dei partecipanti, ma dare a tutti indifferentemente pari opportunità di esprimersi nella competizione. È un veicolo importante di integrazione, di rispetto e di solidarietà fra gli uomini. 

Troppo spesso però non sono gli atleti, ma gli spettatori a incitare all'odio e al razzismo, trasferendo le proprie frustrazioni e problemi sui giocatori o sui tifosi avversari. Questo ci dovrebbe fare riflettere» cosi Edrissa Sanneh spiega la sua visione del razzismo nostrano odierno. Visione che anche Fernando Leo, poliziotto in pensione membro del gruppo degli organizzatori dell'evento, abbraccia, a cui aggiunge: «Il sistema sportivo è fortemente discriminatorio: sono pochi gli atleti neri che giocano nelle nazionali e che partecipano alle Olimpiadi. Negli ambienti decisionali del mondo sportivo c'è una fortissima visione nazionalista. Un altro problema di fondo è che il razzismo nel corso degli anni si è andato trasformando e le realtà antirazziste non sono rimaste al passo con i cambiamenti. Nello sport e soprattutto nel calcio si è prima tifosi e dopo antirazzisti».

 

* articolo da Bresciaoggi - 25 marzo 2019

 

LA LOCANDINA

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