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Martedì 8, Gabriele Del Grande al Mo.Ca.

Presenta il suo libro “Dawla – La storia dello Stato islamico raccontata dai suoi disertori” (Mondadori). Promosso da Circolo Arci Colori e Sapori, CGIL, ADL Zavidovici, Nuova Libreria Rinascita, MO.CA e Comune di Brescia


Gabriele Del Grande: giornalista, scrittore, blogger, regista cinematografico, uomo animato da instancabile passione civile. Con lui sarà l’incontro organizzato per martedì 8 maggio alle ore 18.15 al MO.CA di Via Moretto 78 (Salone delle Danze), in città, dal Circolo Arci Colori e Sapori, da CGIL, ADL Zavidovici, Nuova Libreria Rinascita, MO.CA e Comune di Brescia, per presentare il suo libro “Dawla – La storia dello Stato islamico raccontata dai suoi disertori” (Ed. Mondadori, pagg.610).
Gabriele Del Grande ha fondato nel 2006 l’osservatorio Fortress Europe ed il relativo blog, nel quale sono stati censiti i naufragi e le vittime della migrazione sulle rotte del Mediterraneo dal 1988 al 2016.  Ha inoltre realizzato reportage, collaborato con diverse testate, pubblicato i libri “Mamadou va a morire” (2007), “Roma senza fissa dimora” (2009) e “Il mare di mezzo” (2010). E’ stato quindi ideatore e co-regista del film “Io sto con la sposa” (2014), premiato a Venezia e distribuito in cinquanta Paesi. Viaggiatore in direzione ostinata e contraria, si è mosso in tutto il Mediterraneo e nei Paesi del Sahel, incontrando persone, ascoltando storie, raccogliendo testimonianze cariche di disperazione, ribellione, disobbedienza, ansia di libertà e sogni di felicità: “Quelle che erano le mie vittime – ha dichiarato- sono diventati i miei eroi. Ne ho imparato a vedere la bellezza, la forza, la dignità, la determinazione”.
Il 10 aprile 2017 è stato arrestato in Turchia, a Reyhanli, lungo la frontiera siriana, mentre stava effettuando un viaggio nel Kurdistan iracheno e in diverse, martoriate, città della Siria: dapprima tre giorni in carcere con contrabbandieri e combattenti dello Stato islamico o aspiranti tali,  poi undici giorni di isolamento, fino alla sospirata liberazione il 24 aprile, in seguito a una campagna di mobilitazione in Italia e all’interessamento del Ministero degli Esteri.
“Col senno di poi posso dire che quelle due settimane dietro le sbarre hanno aiutato la mia ricerca. Aver vissuto sulla mia pelle la condizione della privazione della libertà mi ha offerto spunti per raccontare meglio il mondo del carcere nella prima parte del libro. Il resto me l’hanno raccontato la mia fonte e i nostri compagni di cella, un salafita marocchino e uno georgiano diretti in Siria a combattere, un disertore iracheno del Dawla (parola che in arabo significa Stato) in fuga da Tall ‘Afar e un esperto contrabbandiere egiziano, nei tre giorni che abbiano trascorso insieme”, scrive Del Grande nell’introduzione del suo libro, “Dawla –La storia dello Stato islamico raccontata dai suoi disertori”.
 Di che si tratta, dunque? In un lavoro frutto di coraggio, tenacia e pazienza si susseguono la storia di un prigioniero politico siriano, detenuto per sei anni nel carcere di massima sicurezza di Saydnaya, (30 km da Damasco, 17.000 prigionieri morti per torture e 13.000 impiccati negli ultimi sei anni, secondo un Rapporto di Amnesty International) e quelle di tre disertori dello Stato islamico. Vicende che si intrecciano all’ascesa e alla caduta dell’Isis.
Un faldone di 600 cartelle, accompagnate da altre 900 cartelle con interviste effettuate in arabo ad altri 66 personaggi che nel libro non hanno trovato posto. Testimonianze raccolte per 200 ore di audio… Un lavoro poderoso, che svela i meccanismi della nascita e dell’affermazione dell’Isis, con i mille volti della violenza esercitata dal potere, da parte di uomini animati da credo religioso, oppure spinti da opportunismi politici, o avventurieri attirati da sete di potere e di denaro. Un libro importante, avvincente, lucido e forte, che stordisce e cattura, nel quale le interviste prendono la forma serrata della narrazione. L’opera, va ricordato, è stata resa possibile anche dai 1342 lettori che hanno finanziato la ricerca, partecipando al crowdfunding su produzionidalbasso.com.
“Valeva la pena dare la parola agli ex affiliati del Dawla, anche solo eticamente, anziché alle loro vittime?” si chiede Gabriele Del Grande, che così risponde :”Io credo di sì. Il punto di vista dei carnefici è certamente più scomodo di quello delle vittime con le quali tutti noi empatizziamo, rimanendo però incapaci di intravedere le ragioni sulle quali il Dawla ha costruito il proprio consenso. Per incontrare i carnefici ci si sporca le mani. Ma l’unico modo che ha uno scrittore per raccontare una storia è quella di ascoltarla a sua volta dalla viva voce dei suoi protagonisti. Non per giustificare, non per umanizzare. Ma unicamente per raccontare, attraverso una storia, cercare una risposta, ammesso che ve ne sia una, a quell’antica domanda sulla banalità del male che da sempre riecheggia nelle nostre teste dopo ogni guerra.”

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