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Gestione dei pazienti cronici, ovvero l'ulteriore privatizzazione

L'intervento sui quotidiani locali di Luciano Pedrazzani, della segreteria della Camera del Lavoro, sul modello delineato dalla Regione Lombardia. «Ancora una volta il paziente viene consegnato a qualcuno in ragione della sua cronicità, non della sua intera persona. Altri territori hanno sviluppato il modello delle Case della salute (prendere per mano e accompagnare appunto le persone in percorsi di cura appropriati)».


Gentile direttore, il modello delineato da Regione Lombardia per la gestione dei pazienti cronici si sta palesando sempre più come un tentativo di un’ ulteriore privatizzazione, in particolare della medicina territoriale (quella delle strutture ospedaliere è già avvenuta con successo negli anni scorsi  a seguito della bandiera della libertà di scelta).

La competizione tra pubblico e privato anche stavolta è finta.
Il pubblico infatti compete con le mani legate dal sottofinanziamento e dai vincoli nelle assunzioni.

Naturalmente è questo un processo che ha bisogno di tempo e che vede, per fortuna, numerose resistenze.
I medici stanno aderendo in misura parziale (meno della metà in tutta la Lombardia, un misero 52% a Brescia) ed i pazienti dovranno decidere a tempo debito, quando arriverà loro la lettera della ATS che li inviterà a scegliere.

La scelta sarà in larga misura condizionata dal grado di fiducia che i pazienti dimostreranno nei confronti del proprio medico che li indirizzerà da una parte o dall’altra.

Allora crediamo si debba essere molto chiari.

Contrastare la riforma lombarda non vuole dire assolutamente assolvere l’esistente.

Le eccellenze ospedaliere hanno lasciato un deserto nel territorio, spogliato di servizi di prossimità utili ad intercettare i bisogni delle persone che sono tutte intere e bisognose di cure, a volte di carattere assistenziale ed alle volte sanitario ecc.

Ancora una volta invece il paziente viene consegnato a qualcuno in ragione della sua cronicità, non della sua intera persona.

A facilitare l’accoglienza delle persone, viste nella totalità dei loro bisogni, altri territori hanno sviluppato il modello delle Case della salute (prendere per mano e accompagnare appunto le persone in percorsi di cura appropriati).

Invitare pertanto i medici a lavorare insieme, secondo un modello condiviso, non è sinonimo di costringere i medici ad associarsi in cooperative per proporsi come gestori essi stessi  o a proporsi come cogestori di altri soggetti, a snaturare il loro ruolo alimentando conflitti di interesse in contrasto con il mandato ricevuto dalla Stato.

E’ questa la confusione che si trasmette nel proporre scientemente un modello sbagliato a fronte di una esigenza reale.

E’ questa l’operazione truffaldina dietro la quale non si devono nascondere nemmeno i medici che non vogliono superare un modello che fa acqua da tutte le parti.

L’Ordine dei Medici di Milano si è schierato contro questo modello.
La posizione dell’Ordine di Brescia, da esterni, non l’abbiamo capita.

Luciano Pedrazzani
Segreteria CGIL Camera del Lavoro di Brescia

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