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cgil CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

Il referendum sul lavoro fa paura

La politica e i tre quesiti promossi dalla Cgil su vocuher, appalti e licenziamenti illegittimi. Il 12 gennaio la decisione definitiva, il Governo pensa al voto anticipato per scongiurarli


Tra i tanti problemi da affrontare, il governo Gentiloni dovrà risolvere presto la questione dei referendum sul lavoro proposti dalla Cgil per cambiare il Jobs Act. In attesa del pronunciamento della Consulta previsto per l’11 gennaio, la battaglia della Cgil per cambiare il diritto del lavoro - dopo tanti anni di interventi liberisti - è diventata ormai punto di riferimento inevitabile. Ieri è stato lo stesso neopresidente del Consiglio Paolo Gentiloni  a dover precisare la linea di Palazzo Chigi dopo le prime esternazioni del ministro del lavoro e del welfare, Giuliano Poletti. Anche Gentiloni difende il Jobs Act (“non abbiamo nessunissima intenzione di cambiarlo”)  e l’operato del governo Renzi, ma cominciano ad essere in molti – anche nel Pd – a chiedere discontinuità.

Replica del ministro della giustizia, Andrea Orlando, a Poletti: non si deve evitare il referendum. “Non credo che lo scopo del voto anticipato debba essere quello di evitare il referendum. Dobbiamo capire se si può aprire interlocuzione col sindacato e se sono possibili modifiche, valutare se la via del referendum è l'unica possibile. Non possiamo andare avanti costantemente con sfide muscolari”,  (Repubblica, p.14).Ormai ogni giorno sui giornali e sul web si registrano interventi e prese di posizione esterne al sindacato sulla questione del Jobs Act e dei referendum della Cgil. Tra i commenti e le interviste di oggi da segnalare: l’intervista al giuslavorista Pietro Ichino su Repubblica (Giovanna Casadio, p.14),  che ovviamente difende il Jobs Act: “La legge non si cambia, quesito inammissibile”. Ichino, da sempre sostenitore della riduzione dello spazio del diritto del lavoro a favore del mercato, sostiene che non è possibile fermarsi “in mezzo al guado”. Ichino arriva perfino a difendere i voucher che non hanno eliminato la piaga del lavoro nero, ma hanno dato un “contributo”. Su Libero parlano Cesare Damiano: “Referendum sul Jobs Act, giusto aboliamo” e Claudio Treves, segretario generale del Nidil Cgil: “Ora serve il coraggio di sopprimere i voucher” (p.21). 

Sul Fatto Quotidiano parla il segretario generale della Fiom,

Maurizio Landini: Il referendum sul Jobs Act fa troppa paura: preferiscono farsi sfiduciare.

(p.4) Secondo il leader dei metalmeccanici della Cgil, “se vogliono evitare la batosta, devono cancellare i voucher e ripristinare l’articolo 18, niente vie di mezzo”. Il Foglio, con un editoriale non firmato, si schiera nettamente dalla parte del Jobs Act, meglio le urne in primavera, ma “non per scappare dal referendum” (p.3).  Sul Corriere della Sera è Lorenzo Salvia a spiegare “la corsa per fermare il voto sui voucher” (p.13). Su Repubblica è Silvio Buzzanca a fare il punto anche nel campo della maggioranza di governo: “Jobs Act e congresso, la sfida di Orlando. Il ministro della giustizia replica a Poletti: il voto anticipato non deve evitare il referendum, il Pd apra al sindacato. Nel pezzo di Repubblica si riprendono anche le dichiarazioni del segretario generale Camusso: sciogliere la Camere prima è solo un modo per farsi del male” (p.14). Ancora sul Corriere della Sera da segnalare il commento di Dario Di Vico: “Il sindacato al tempo dei Cinquestelle incombenti”.  …” I tre referendum sul lavoro indetti dalla Cgil, nati dentro uno schema di contrapposizione bipolare (il sindacato vs il governo Renzi), potrebbero invece finire per giocarsi in un perimetro che ospita tre player. la Cgil, le forze che hanno sostenuto il Jobs act e i Cinquestelle. In passato  il sindacato rosso non ha avuto mai grande fortuna con i referendum, stavolta però è diverso (…p.27)

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