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SOSTITUISCE CARLA CANTONE

Ivan Pedretti, bresciano, è il nuovo segretario generale nazionale dello Spi Cgil


Ex operaio metalmeccanico, sostituisce Carla Cantone. E’ stato eletto ieri l’Assemblea generale del sindacato riunita a Roma. Classe 1954, sostituisce Carla Cantone, da quasi otto anni alla guida dello Spi-Cgil e da settembre segretario generale della federazione dei pensionati europei (Ferpa). Nato e cresciuto a Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, Ivan Pedretti ha cominciato a lavorare a 15 anni come operaio metalmeccanico, prima in piccole aziende artigiane e poi alla Mival-Beretta.


qui sotto l'intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera - Brescia
Un doppio record per Ivan Pedretti, valtrumplino doc, eletto ieri a Roma segretario generale nazionale dello Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil. Primo bresciano in un ruolo così di rilievo nella Cgil, Pedretti si ritrova infatti anche alla guida della più numerosa (3 milioni di iscritti) categoria sindacale italiana. Nato a Gardone Val Trompia nel 1954 da una famiglia operaia, Pedretti è operaio dall'età di 15 anni in una piccola fabbrica artigiana che produce colt per film western. Sucessivamente entra all'Omg e nel 1973 alla Mival Beretta, dove lavora come cottimista e dove inizia anche la militanza sindacale nella Fiom. Nel 1982 inizia la sua ascesa da funzionario sindacale in Fiom nazionale. Dal 1984 al 1997 è a Verona, prima come segretario generale Fiom e poi come segretario generale della Cgil. Nel 1997 l'ingresso nella segreteria regionale della Cgil Veneto, dal 2002 al 2010 è segretario regionale dello Spi Cgil. Infine la segreteria nazionale dello Spi Cgil, di cui è segretario generale nazionale da ieri in sostituzione di Carla Cantone. In giro per l'Italia da oltre trent'anni ma sempre con la casa a Gardone, dove sono rimasti i suoi affetti e dove trascorre il fine settimana.

Valtrumplino doc ma un percorso da funzionario sindacale tutto fuori da Brescia: come mai?
«Nel sindacato non è così raro che avvenga, ma c'è anche che in quegli anni avevo un rapporto meno conflittuale di altri con il mio partito, il Pci, e questo non era apprezzato dall'allora dirigenza Fiom (erano gli anni di Sabattini e Cremaschi, ndr). Acqua passata ad ogni modo, non credo sia il caso di tornare su questioni vecchie di 35 anni».
Con tre milioni di iscritti, lo Spi Cgil è la più grande categoria sindacale in Italia. Che effetto fa?
«Il sindacato dei pensionati è la struttura più diffusa e vicina al territorio, è un po' come la chiesa. È un soggetto che negozia e contratta coi Comuni di welfare locale e molte altre cose. È un braccio importante della Cgil nel territorio: le categorie dovrebbero essere contente di avere un appoggio. In un mondo fatto sempre più di piccole imprese, il lavoratore o lo trovi nel territorio o non riesci a contattarlo. È cambiata la condizione, da sindacato rurale e sindacato industriale e adesso il grande passaggio alla tecnologia avanzata».
Questi non sono anni semplici per il sindacato.
«Serve un sindacato a maggior forza di innovazione, da struttura industrialista a sindacato più rivolto al territorio. In parte questo ragionamento lo si è avviato, ma bisogna fare ancora molto. La grande sfida, anche se sembra un paradosso, è diventare un grande sindacato europeo da una parte ed essere sempre più diffusi sul territorio dall'altra. È molto complicato ma non abbiamo alternative. E dobbiamo spingere per costruire un grande sindacato unitario».
Un programma decisamente ambizioso, non le pare?
«Forse sì, ma la strada è questa. È cambiato il mondo e dobbiamo farlo anche noi. La divisione sindacale non ha più senso, partiti come la Dc e il Pci non esistono più da tempo. Come pensionati, d'altronde, già lo facciamo di muoverci in modo unitario: quando contratti coi Comuni, non lo fai mai da solo ma tutti insieme».
Un giudizio sul Governo Renzi?
«Il governo sbaglia a non confrontarsi con il sindacato e credo che in questo mostri in realtà debolezza. Dopodiché bisogna restare al merito delle questioni: nella legge di Stabilità ci sono elementi negativi perché non si guarda allo sviluppo, ma ci sono anche cose positive sulle politiche sociali, penso alla no tax area o ai fondi per la non autosufficienza».
E il sindacato nel rapporto col governo sbaglia qualcosa?
«Dovremmo sfidare il Governo sull'innovazione e il cambiamento e dimostrare che il sindacato non è vecchio».
Esempi?
«La metto in battuta: se uno timbra in mutande va a casa. Noi dobbiamo sfidare il governo sull'efficacia e l'efficienza dei servizi, anche cambiando l'organizzazione del lavoro. Se per superare le liste di attesa dobbiamo tenere aperto 24 ore, allora si fanno i turni. Se si vuole passare alla sanità di prossimità, allora bisogna spostare medici e assistenti dall'ospedale al territorio. Questi sono grandi temi, che ovviamente si intrecciano con i ritmi e gli orari di lavoro. Io credo che il sindacato possa dire la sua su questi temi. Noi faremo la nostra parte».

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