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cgil CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

SEGNALAZIONI DAI QUOTIDIANI NAZIONALI DI GIOVEDÌ 15 OTTOBRE

Una manovra da 30 miliardi


Una manovra che oscilla tra i 27 e i 30 miliardi di euro, un possibile part time per i lavoratori over 63 per uscire gradualmente dal mercato del lavoro, Ires in due tempi, Tasi cancellata insieme all’Imu per gli immobili di pregio, elevamento della soglia del contante a 3 mila euro, bonus sul lavoro dimezzato, taglio delle partecipate pubbliche e sforbiciata sui dirigenti statali. Sono queste le principali novità della Legge di stabilità che sarà oggi sul tavolo di Palazzo Chigi prima del nuovo esame di Bruxelles. Il governo Renzi conferma le linee guida sull’abolizione delle tasse sulla casa e cerca di bilanciare le risorse che verranno a mancare anche a causa del flop della spending review. Confermati quindi anche tutti i tagli alla sanità. Sui rinnovi dei contratti torna a parlare il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi che conferma la disponibilità degli imprenditori a riaprire le trattative a condizione che vangano accettati i  “paletti” del suo pentalogo. Si discute sulle misure proposte dal governo contro la povertà e in particolare in sostegno dei bambini poveri. Non servono misure spot, ma un piano organico. Lo sostengono le 35 organizzazioni (tra cui la Cgil) che compongono l’Alleanza contro la povertà. Si torna a parlare anche di Reddito di inclusione sociale. Oggi si conclude la nuova mobilitazione di Cgil, Cisl, Uil sulle pensioni che era partita il 5 ottobre scorso. Ma la battaglia per cambiare la legge Fornero continua.

CONTRATTI. I CINQUE PUNTI  DI SQUINZI E LA RISPOSTA DELLA CGIL

Contratti nazionali anche senza aumenti salariali. E’ questo — nei fatti — uno dei punti del "pentalogo" di Confindustria per la riforma dei contratti. Ne parla Roberto Mania su Repubblica (p.24). “Un documento smilzo di mezza pagina, con le linee guida di Viale dell'Astronomia per le categorie impegnate nei rinnovi degli accordi nazionali. Proprio ieri i sindacati dei chimici (170 mila addetti) hanno avviato il confronto con Federchimica e Farmindustria. Alimentaristi e poi i metalmeccanici sono pronti a partire. Il documento è stato varato nei giorni scorsi dal comitato sindacale di Confindustria sulla base di un decalogo precedentemente approvato dal comitato di presidenza cui fa da sfondo un "position paper" ben più ambizioso sul piano analitico intitolato "Relazioni sindacali e assetti della contrattazione collettiva.".  I cinque punti di Confindustria prevedono: l'attuazione del Jobs act, la non introduzione di un terzo livello di contrattazione territoriale, la centralità del contratto nazionale, i minimi tabellari fissati dal contratto nazionale tenendo conto dell'indice lpca ( prezzi al consumo armonizzati a livello europeo e depurati dalla componente energetica) ma con verifica ex post delle variazioni dello stesso indice. Per cui in caso di inflazione in discesa (ieri l'Istat ha certificato a settembre un calo dello 0,4% su agosto e un incremento dello 0,2% sull'anno anziché del 0,3% della stima preliminare) si finisce per non riconoscere alcun incremento retributivo. Questo è l'effetto della deflazione, tanto che proprio gli imprenditori della chimica (settore a cui appartiene il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi) hanno chiesto indietro ai lavoratori 79 euro perché gli incrementi del precedente accordo erano stati fissati sulla base di una previsione di inflazione che è risultata più bassa di quella reale. Il quinto punto del documento confindustriale, infine, riguarda la valoriazione della contrattazione del welfare aziendale. Dunque un documento a maglie larghe, decisamente asciutto e anche deludente rispetto agli annunci che erano stati fatti da Squinzi. Ma dopo il fallimento, praticamente ancor prima di iniziare, del confronto con Cgil, Cisl e Uil gli industriali stanno cercando di riallacciare i fili con le loro controparti sindacali per evitare l'intervento del governo sulla contrattazione e la rappresentanza. Ieri Squinzi ha detto di essere pronto a ripartire se i sindacati dovessero condividere il "pentalogo". Ipotesi, per ora, remota. Almeno stando alla risposta del leader della Cgil, Susanna Camusso: Squinzi  dice che è disposto a discutere con noi, che potrebbe riaprire il tavolo sui contratti, se accettiamo il suo pentalogo. Noi rispondiamo che senza congrui aumenti salariali non è possibile riaprire il tavolo.. Sulle posizioni di Squinzi vedere anche il pezzo di Nicoletta Picchio sul Sole 24 ore: «trattativa se i sindacati accettano le nostre linee guida» .«Il nostro obiettivo è riaprire le trattative. Se i sindacati accoglieranno le nostre linee guida, potrebbero ripartire. Ma vedremo cosa succede nei prossimi giorni»….(Sole, p.5). Sul Corriere della Sera (p.5) il presidente di Confindustria parla delle riforme e della proposta di alzare il tetto dei contanti a tremila euro.

LEGGE DI STABILITA’: CONTRO LA POVERTA’ SERVE UN PIANO ORGANICO

Rassegna Sindacale online, nella sua nuova veste grafica e giornalistica che punta all’approfondimento delle notizie propone un’apertura sulle politiche contro la povertà. Non un intervento spot e riferito solo ad un segmento della popolazione, ma un Piano organico contro la povertà con l'introduzione progressiva del Reddito di inclusione sociale. È questa la richiesta al governo che parte, alla vigilia del varo della legge di Stabilità, dall'Alleanza contro la povertà, un cartello che raccoglie 35 soggetti appartenenti a istituzioni, sindacati (attiva al suo interno sin dall’inizio la Cgil) e terzo settore, che si sono riuniti ieri a Roma per una giornata di studio ed elaborazione. Il reddito di inclusione sociale proposto dall'Alleanza è un mix di misure di integrazione del reddito e di welfare territoriale da introdurre gradualmente, con in incremento progressivo dell'utenza, partendo il primo anno con un milione e quattrocentomila persone in condizione di più grave povertà, per poi estenderlo, fino a raggiungere nel 2019 i 6 milioni di persone in povertà assoluta. Con un conseguente incremento anno per anno della spesa da parte dello Stato, fino a renderla strutturale: per il primo anno occorrerebbero 1,8 miliardi per arrivare poi a 7 miliardi nel corso dei quattro anni.

ANALISI, OPINIONI E APPROFONDIMENTI

IL PROBLEMA PRINCIPALE E’ LA DISEGUAGLIANZA. Ne è convinto Robert Reich intervistato oggi su La Stampa (p.17) da Paolo Mastrolilli. “In America troppe diseguaglianze Rischiamo una svolta autoritaria” L’economista Reich: “La globalizzazione schiaccia la classe media Servono riforme per salvare il capitalismo dai leader populisti”. «Gl i Stati Uniti rischiano la svolta autoritaria, e l’Europa il ritorno ai nazionalismi che avevano provocato le due guerre mondiali, se non affronteranno i loro problemi economici con un riformismo che metta il sistema al servizio di tutti». L’allarme viene da Robert Reich, professore all’università di Berkeley e segretario al Lavoro durante l’amministrazione Clinton, che abbiamo sentito in occasione della pubblicazione in Italia da Fazi Editore del suo saggio «Come salvare il capitalismo». Nel mondo non c’è mai stata tanta diseguaglianza: perché? «Tre motivi. Primo, la globalizzazione ha trasferito parecchi lavori della classe media in Paesi dove i salari sono bassi; secondo, i cambiamenti tecnologici, il software, i robots, hanno rimpiazzato molti lavoratori; terzo, le persone  più ricche hanno acquistato una forte influenza politica con cui hanno riscritto le regole del capitalismo a loro favore» . Il capitalismo, però, va salvato e non abbattuto? «Non vedo alternative. Anche i Paesi scandinavi o la Cina sono capitalisti. Il problema è se il sistema funziona al servizio di pochi, o di tutti. Nella loro storia, gli Stati Uniti si sono già trovati 4 volte in situazioni simili, e hanno sempre scelto la strada delle riforme, per salvare il capitalismo da se stesso» (…).

MA IL MONDO CORRE PIU’ VELOCE DELL’EUROPA. L’economista Mario Deaglio firma il commento su La Stampa: I governi di tutta Europa sono occupati nel mettere a punto le manovre finanziarie 2016, come la legge italiana di stabilità, e nel discuterle con Bruxelles. Si occupano spesso di briciole mentre le grandi cifre di economia e finanza mondiale passano sopra la loro (e nostra) testa. Con Bruxelles, infatti, i paesi dell'Unione Europea parlano di decimali e nel frattempo l'apparato produttivo mondiale cambia forma, composizione e proprietà al suono di centinaia di miliardi di dollari. Un episodio importante di questo cambiamento si è verificato lunedì 12 ottobre, giorno della scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo: a New York sono state annunciate due gigantesche fusioni tra grandi imprese private per un totale di 170 miliardi di dollari, quasi 150 miliardi di euro, pari all'incirca al 10 per cento del prodotto interno lordo (pii) dell'Italia. Il che porta a circa 3500 miliardi di dollari le operazioni di acquisizione e fusione realizzatesi nel mondo dall'inizio dell'anno, un po' meno del doppio del prodotto lordo italiano. Nello stesso giorno le agenzie davano notizia di una significativa apertura di Bruxelles: all'Italia, nell'ambito di una maggiore flessibilità dei conti pubblici, verra concesso di spendere 5 miliardi di euro in più di quanto in precedenza convenuto. Si tratta, all'incirca, dello 0,25 per cento del pil. Ed è difficile sfuggire alla sensazione che la politica economica europea sia molto lontana non solo dall'America, anche dal resto del pianeta, dalla realtà di un mondo che cambia con una velocità senza precedenti; quasi come ai tempi di Cristoforo Colombo. Con la differenza che gli «indiani d'America» rischiamo di essere noi. Accomunate per dimensione le due operazioni sono diversissime per natura. La più grande riguarda un settore in cui la tecnologia di base, quella della produzione della birra, è invariata da millenni: la società Ab In-Bev belga (in realtà cosmopolita, con forte presenza americana e brasiliana) primo produttore di birra al mondo, acquisterà il secondo produttore, la società anglo-sudafricana Sab Miller. Per conseguenza, un terzo della birra del mondo proverrà dalla medesima impresa, che conterà oltre 250 mila dipendenti e trecento «etichette» (tra le quali alcune ottime marche italiane). E il teatro di questa complessa avventura finanziaria, nella quale vi è un forte coinvolgimento europeo, è la Borsa di New York e in misura secondaria quella di Londra. La seconda operazione è invece supertecnologica: il Signor Michael Dell, che controlla la maggioranza dell'omonima società di personal computer (e molti altri prodotti elettronici) dopo averla fondata trentun anni fa - quando era studente all'Università del Texas e aveva 19 anni - ha convenuto di acquistare la Emc, un'altra società americana, specialista nella raccolta e nell'analisi dei «big data», l'enorme mole di dati con cui si cominciano a governare, tra l'altro, le metropoli più avanzate del mondo (non Roma, probabilmente) e nelle cosiddette «clouds», le «nuvole» di Internet dove ciascuno di noi pub «stivare» i dati elettronici che gli interessano. Messe insieme, queste due fusioni mostrano che il capitalismo sta ancora una volta cambiando pelle e, forse, sostanza…

L’ATTACCO DI RENZI AL SINDACATO SECONDO PANORAMA. Su Panorama prosegue la campagna antisindacale. Questa settimana tocca a Stefano Cingolani. «Dovremo difendere il sindacato da se stesso» aveva detto Matteo Renzi il 25 luglio scorso, sull'onda degli scioperi a Pompei e del caos a Fiumicino. Invece, oltre all'indignazione, il capo del governo serbava ben altro: un intervento ad ampio raggio per mettere in gabbia i sindacati. L'attacco di Renzi si articola in tre mosse. La prima è una legge che riduca la frammentazione delle sigle e ammetta ai tavoli delle trattative solo le organizzazioni più rappresentative. L'asticella non è stata ancora fissata, ma esiste già una intesa tra sindacati e Confindustria che risale al 10 gennaio 2014 e in Parlamento sono stati depositati numerosi provvedimenti che in genere stabiliscono la quota minima al 5 per cento. Un passaggio inevitabile è dar voce alla base: un accordo non può essere valido se non sarà approvato dal 50 per cento più uno. Su questo punto però non c'è consenso: c'è chi propone che la maggioranza sia riferita solo agli iscritti e non a tutti i lavoratori interessati al contratto. Secondo fronte, lo sciopero. Anche in questo caso, deve valere un ampio consenso. Quanto ampio? Cesare Damiano, Pd, presidente della commissione lavoro della Camera, ex ministro del lavoro ed ex dirigente della Fiom propone il 20-30 per cento; il senatore Pietro Ichino, tornato a febbraio nel Pd, una soglia del 50. Nel pacchetto entra anche la contrattazione. Come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, il governo vuol privilegiare i patti aziendali rispetto al contratto nazionale. È d'accordo il presidente della Confidustria Giorgio Squinzi, anche se gli imprenditori guardano con grande cautela all'interventismo del governo su materie lasciate da sempre al rapporto tra le parti….

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