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cgil CGIL - Camera del Lavoro di Brescia

SEGNALAZIONI DAI QUOTIDIANI NAZIONALI DI GIOVEDÌ 8 OTTOBRE OTTOBRE

L'attacco ai salari di Confindustria


Dopo la rottura del presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, ora Cgil, Cisl, Uil rilanciano: siamo pronti a riprendere la trattativa sul modello contrattuale e sui rinnovi dei contratti nazionali in scadenza. Per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in una intervista a Repubblica, in gioco c’è il futuro della contrattazione e del sindacato. La leader della Cgil spiega la vera posta in gioco e mette in guardia da un intervento unilaterale del governo sul tema della contrattazione. Ma dall’altra parte, il ministro Giuliano Poletti ammette che il governo Renzi sta perdendo la pazienza: non possiamo più aspettare. Intanto il sindacato è in piena attività per accelerare i vari tavoli di trattativa per i rinnovi contrattuali di categoria. Emilio Miceli, Angelo Colombini e Paolo Pirani, segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, hanno scritto una lettera ai presidenti di Federchimica e Farmindustria per sollecitare l'avvio delle trattative per il rinnovo del contratto del settore chimico-farmaceutico, proponendo  la data del 12 ottobre per un primo incontro ed "eventualmente - è scritto nella lettera - nella giornata successiva". E' una sfida alle controparti imprenditoriali e un invito esplicito a non perdere tempo.

VORREBBERO METTERE DA PARTE IL SINDACATO. CAMUSSO A REPUBBLICA

"Non c'è nessuna ragione al mondo che giustifichi l'intervento del governo sulle regole contrattuali. C'è invece la volontà di destrutturare la funzione di rappresentanza autonoma delle parti sociali. Questo c'è". Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, vede nell'annuncio del governo che si è detto pronto a intervenire sul sistema contrattuale "la riproposizione della cultura dell'uomo solo al comando, che si sostituisce a tutti". Lo ribadisce in una intervista su Repubblica di Roberto Mania. È un fatto, però, che il confronto con la Confindustria è fallito ancor prima di cominciarle. Perché? "Perché fin dall'inizio l'obiettivo di Confindustria  era chiaro: abbassare i salari, ridurre il potere d'acquisto dei lavoratori. Le sembra un obiettivo che potevamo condividere?". Perché ha definito stranianti le parole di Squinzi sulla fine delle trattative? "Perché quando si è accorto che le sue idee sul salario non erano condivise ha fatto come quei bambini che si arrabbiamo e portano via il pallone (...)". Sul Sole 24 ore, quotidiano della Confindustria, il direttore ha scritto che se ci fosse Giuseppe Di Vittorio vi maltratterebbe. "Apprezzo il fatto che il direttore del Sole sia un fan di Di Vittorio. Detto ciò mi sembra scorretto attribuire comportamenti a chi oggi non c'è più, a chi ha vissuto in altra epoca e in altre condizioni politiche e sociali. Guardi, a volte vengono da rimpiangere i presidenti di Confindustria, come Angelo Costa e Gianni Agnelli, che pur nella durezza delle loro posizioni hanno sempre riconosciuto il valore del lavoro e della tutela del salario". Il tema dei contratti è off limits per il governo? "La politica non ha off limits, ma i contratti sono accordi di natura privata, si fanno tra due soggetti che hanno interessi diversi. Si interviene anche in una lite tra due aziende? Il governo può anche intervenire sulle relazioni industriali, ma cosa mette sul tavolo? Nell'accordo del 1993, per esempio, ci mise la politica dei redditi. Questa volta?"

IL DIRETTORE DEL SOLE 24 ORE REPLICA  A CAMUSSO

Dopo l'editoriale sul Sole 24 Ore di ieri, “Il coraggio che manca di un nuovo Di Vittorio” e la risposta del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso (“Nostalgia di Di Vittorio? Io anche di Costa e Agnelli, che continuavano ad alzare i salari”), il direttore Roberto Napoletano replica di nuovo oggi citando i dati Istat sulle dinamiche salariali e sostenendo che “l'impresa e i suoi capitani oggi come allora, soprattutto come ai tempi della ricostruzione, chiedono di misurarsi con la realtà e di guardare al futuro in un mondo tutto nuovo dove lo spettro non è più l'inflazione ma la deflazione. Di Vittorio ebbe coraggio e dialogò costruttivamente, arrivarono più lavoro e più salario, e lui passò alla storia. Che cosa impedisce di ritrovare oggi il suo coraggio in un Paese che fa i conti con un'emorragia di lavoro che è pari a quella di una guerra persa?”.

CAMUSSO. SI TRATTA DI SCEGLIERE TRA DUE IPOTESI DIVERSE

“Bisogna dire le cose come stanno – ha detto ieri il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo segretario della Ces –. Ci sono in campo due ipotesi diverse: da un lato chi pensa che vada mantenuto il valore universale dei diritti e della tutela salariale del contratto nazionale di lavoro, dall’altro chi, come Confindustria, crede che questo sistema vada scomposto, magari guardando a sistemi economici molto diversi dal nostro”. Camusso ha aggiunto che comunque la discussione è tutta aperta, e del resto “il Jobs Act nel riferirsi al salario minimo legale fa un esplicito riferimento ai lavoratori non contrattualizzati. E non è un caso: il Parlamento sa bene che in Italia i minimi salariali sono quelli stabiliti dai contratti nazionali, e che così deve continuare a essere”. Per il segretario generale della Cgil la questione salariale, oltre ad attenere ai diritti, e dunque alla vita delle persone, è anche un grande tema economico: “Per Confindustria, nella convinzione errata che la nostra sia una crisi legata all’esportazione, bisogna rispondere abbassando i salari. Per noi vale esattamente il contrario: la crisi è da domanda interna e dunque abbassare i salari non funziona”.

IL RISCHIO DELL’INTERVENTO DEL GOVERNO. UN EDITORIALE SULL’AVVENIRE

Michele Tiraboschi e Francesco Seghezzi firmano un editoriale sull’Avvenire sul pericolo di un eventuale intervento del governo. ” La rottura delle trattative tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil sulla riforma della rappresentanza sindacale e sui nuovi assetti della contrattazione collettiva è una brutta notizia. Che fa sorridere solo quanti, sempre più numerosi purtroppo, auspicano una prova di forza da parte del governo, cioè una "legge sindacale". Attesa, in verità, da oltre 60 anni, ma ora orientata a mettere nell'angolo un sindacato ritenuto non più al passo coi tempi e, per questo, inutile. Eppure, a essere in gioco non è solo la sorte del movimento sindacale italiano e, di riflesso, la rappresentanza del mondo delle imprese, quanto piuttosto una visione di società nel delicato rapporto tra Stato e persona e tra pubblico e privato. La dura, e naturale, contrapposizione tra le parti sociali ha condotto l'immaginario collettivo a considerare unicamente due dimensioni dei rapporti tra di esse: il conflitto o l'intesa corporativa. Qualora non si riesca a ottenere un accordo il risultato è lo scontro "senza se e senza ma". La realtà dei fatti è meno bianca e nera e i meccanismi della rappresentanza si giocano proprio in quell'area grigia in cui si costruisce lentamente e minuziosamente un equilibrio che non è spartizione di risorse ma anche una strada possibile per la costruzione del bene comune. L'urgenza di oggi è capire se possiamo rinunciare a questo lavoro di compromesso o se l'unica soluzione sia quella di delegare al legislatore ciò che le parti non riescono a concordare. Crediamo sia utile porre l'attenzione su alcune conseguenze tra le due opzioni. La particolarità delle relazioni industriali è quella di essere un campo nel quale le parti hanno autonomia decisionale. Lo scopo della rappresentanza è infatti quello di veicolare gli interessi di imprese e lavoratori, garantendo a essi di esprimere in modo sussidiario i propri interessi. Per questa ragione le regole del gioco sono state decise dalle parti stesse, senza lasciare che un attore esterno, lo Stato, ci mettesse mano. Un atto di forza da parte del legislatore dipingerebbe un panorama nuovo e al momento inedito per il nostro Paese. Si verificherebbe una situazione di "sussidiarietà regolata" dall'alto, con il rischio evidente di snaturare le logiche della rappresentanza….

ALTRE SEGNALAZIONI DALLA STAMPA

I LAVORATORI CREANO RICCHEZZA. PARLA  MAZZUCATO. L’economista Mariana Mazzucato interviene oggi su Repubblica per spiegare la sua scelta di collaborare con il Labour di Corbyn. Sette economisti ( fra cui Joseph Stiglitz, Thomas Piketty e la sottoscritta ) hanno accettato di fare da consulenti economici per Jeremy Corbyn, il nuovo leader del Partito laburista britannico. Mi auguro che il nostro scopo comune sia aiutare il Labour a creare una politica economica fondata sugli investimenti, inclusiva e sostenibile. Metteremo sul tavolo idee diverse, ma voglio proporvi le mie considerazioni riguardo alle politiche progressiste di cui il Regno Unito e il resto del mondo hanno bisogno oggi. Quando il Partito laburista ha perso le elezioni, lo scorso maggio, in tanti, anche esponenti del Governo ombra, gli hanno contestato di non aver saputo interloquire con i «creatori di ricchezza», cioè la comunità imprenditoriale. Che le imprese creino ricchezza è evidente. MA anche i lavoratori, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile creano ricchezza, promuovendo crescita e produttività nel lungo termine. Un programma economico progressista deve partire necessariamente dal riconoscimento che la creazione di ricchezza è un processo collettivo e che gli esiti di mercato sono il risultato dell'interazione fra tutti questi .creatori di ricchezza». (…)

LA GUERRA DELLE AUTO SECONDO AIRAUDO. Sui rapporti tra industria automobilistica e finanza scrive oggi sul manifesto Giorgio Airaudo. La truffa dei Diesel ammessa dalla Volkswagen disvela il carattere della competizione e della selezione che è in corso tra i grandi produttori dell'autoveicolo. Una competizione fortemente condizionata dalla finanza e dai suoi favori. E non dai limiti energetici e ambientali del pianeta e dalla mobilità. Una competizione senza esclusioni di colpi con il fine di raggiungere la posizione di Big dove gli Stati e le dimensioni continentali vengono piegate alle necessità immediate delle multinazionali. Tutte le ristrutturazioni, gli insediamenti e le acquisizioni tra i gruppi dell'auto di questi hanno visto il ruolo dei governi e l'intervento pubblico per favorire e sostenerli, unica eccezione l'Italia che ha assecondato il riposizionamento internazionale di Fiat attraverso FCA a scapito del nostro paese con un carico enorme sui lavoratori Italiani che vedono un peggioramento delle condizioni di lavoro e dei gradi di libertà nei luoghi di lavoro. Ora il Diesel-Gate deve farci discutere sicuramente delle conseguenze ancora tutte da contabili are, dai costi dei richiami a quelli delle class action. Volkswagen vende veicoli per oltre 200 miliardi di euro l'anno, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo, assicura in Germania 600 mila posti di lavoro diretti (più milioni di posti indiretti nel mondo). Il settore auto pesa per 300 miliardi di euro di esportazioni, la prima voce del made in Germany. E non è per nulla escluso che il governo tedesco non intervenga per salvarla. (…)

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